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Ruolo dell’elasticità e del riflesso miotatico nel lavoro muscolare
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Ruolo dell’elasticità e del riflesso miotatico nel lavoro muscolare
Ruolo dell’elasticità e del riflesso miotatico nel lavoro muscolare
condividi su facebookPubblicato il 25/05/2014
(ultima modifica: 27/11/2014)
PREMESSA
E’ noto che la possibilità di ottenere risultati di rilievo in molte attività sportive richiede il possesso di qualità neuromuscolari di una certa rilevanza, per questo motivo la maggior parte degli studi nell'ambito della fisiologia dello sport e della metodologia dell’allenamento riguardano soprattutto il funzionamento dei muscoli a partire dalla struttura intima fino alla loro possibilità estrema di lavoro.
Tra gli argomenti più interessanti, relativamente all'apparato muscolare scheletrico, ci sono quelli che riguardano la capacità elastica ed il sistema riflessogeno, soprattutto perché la conoscenza approfondita dei fenomeni legati a queste caratteristiche biomeccaniche del muscolo riveste un ruolo importantissimo nell'ambito della metodologia dell’allenamento in quanto sono strettamente collegati alla capacità del sistema muscolare di produrre forza .
In questa direzione sono stati condotti studi che hanno consentito di migliorare la capacità prestativa individuale proprio partendo dalla razionalizzazione dei mezzi allenanti che prevedono il coinvolgimento sia delle qualità elastiche del muscolo sia del riflesso miotatico.
In questa ricerca sperimentale, partendo dalla descrizione generale del sistema muscolare scheletrico cercheremo di verificare e spiegare le caratteristiche meccaniche e di innesco di alcuni fenomeni biomeccanici durante il lavoro muscolare.

Organizzazione meccanica del sistema muscolare
Dal punto di vista meccanico il muscolo scheletrico può essere considerato come un motore capace di trasformare l’energia chimica accumulata nell'ATP, in movimento; esercitando la sua azione sulle leve ossee, e può essere rappresentato schematicamente come nella figura (vedi galleria fotografica in basso): dove con la sigla C.C. intendiamo la componente contrattile, la sigla C.E.S. sta per componente elastica in serie e con C.E.P. la componente elastica in parallelo.
La comprensione dello schema ci permette di rendere chiari i vari tipi di attivazione del muscolo e i relativi fenomeni collegati.
La componente contrattile è formata dal complesso Miosina-Actina (vedi fig. 2).
La miosina, posta centralmente nel sarcomero e l’actina posta agli estremi di esso, sono strutture proteiche di peso molecolare differente (maggiore per la miosina) che si presentano sotto forma di filamenti; ogni filamento di miosina è attorniato da sei filamenti di actina.
La miosina dispone di propaggini munite di elementi elastici, che si diramano radialmente all'esterno della struttura centrale che servono per ancorare l’actina nel momento della attivazione realizzando i cosiddetti ponti acto-miosinici o più comunemente i cross-bridges.

La figura 2 è una rappresentazione schematica delle propaggini della miosina con in evidenza l’elemento elastico; sul filamento di actina sono evidenziati i siti di ancoraggio per la testa della miosina quando si realizza il cross-bridge a seguito di un’attivazione. (Vedi Fig.2)

La componente elastica in serie è formata dalla sommatoria del modulo elastico relativo ai singoli cross-bridges e a quello intrinseco del tessuto tendineo; la prima risulta “attiva” in quanto fa parte del processo di attivazione muscolare a differenza della seconda che invece è “passiva” in quanto subisce l’attivazione muscolare.
In termini meccanici questa componente incide in maniera significativa sugli effetti determinati da alcuni tipi di attivazione muscolare.
Infine la componente elastica in parallelo rappresenta un esiguo modulo elastico determinato dal tessuto connettivo e dal sarcolemma, che ai fini del rendimento meccanico ha scarsissima incidenza.

Le fibre muscolari
Nella struttura del muscolo esistono Fibre Lente e Fibre Veloci, la differenziazione tra esse è data oltre che dalla differenza di colorazione dovuta a presenza di sostanze caratterizzanti, e dal tipo di innervazione che ne determina la morfologia, soprattutto dalla differenza di concentrazione di enzimi capaci di attivare la liberazione di energia dall' ATP (Barany, 1967).
Le fibre lente hanno una minore concentrazione di ATPasi (enzima specifico dell' ATP) rispetto alle fibre veloci, ma di contro sono ricche di mioglobina, che essendo di colore rosso, ne determina anche l' appellativo di "Fibre Rosse".
La maggior parte degli A.A., riconosce che le fibre presenti nel muscolo scheletrico umano, sono di tre tipi:
  1. le fibre tipo IA, dette anche: fibre lente, rosse, ossidative, o anche Slow Twich; queste riescono a sviluppare tensioni muscolari basse, ma sono capaci di protrarre la loro azione per un tempo molto lungo. Sono innervate da nervi di piccola dimensione e sono ricche di mitocondri.
  2. le fibre tipo IIA, dette anche fibre intermedie, (o anche fibre glicolitiche-ossidative); queste hanno la caratteristica di potersi comportare o come fibre lente o come quelle veloci, e principalmente subiscono gli adattamenti imposti dall' allenamento; contengono sia gli enzimi della via glicolitica sia quelli tipici della via aerobica. Insomma sono una via di mezzo tra le fibre veloci e le fibre lente che possiamo considerare come fibre veloci-resistenti.
  3. le fibre tipo IIB, dette anche: fibre veloci, bianche, glicolitiche, o anche Fast Twich; queste sono innervate da nervi di grossa dimensione e forniscono tensioni di alta intensità ma essendo facilmente affaticabili, esauriscono il loro intervento in breve tempo. Esse sono ricche di ATPasi.
L' insieme del nervo motore e le fibre che da esso vengono attivate, viene chiamato unità motrice.
Non è ben chiaro se è il tipo di fibra che determina le dimensioni del nervo che le attiva, o il contrario; sta di fatto che se il nervo è grosso, innerva fibre veloci (della dimensione di 12-20 micron) e l' insieme motoneurone-fibre viene detto Unità Motoria Fasica.
Se il nervo è piccolo, innerva fibre lente (della dimensione di 6-12 micron) e l' insieme motoneurone-fibre viene detta Unità Motoria Tonica.
Le unità toniche solitamente sono formate dalle fibre dei muscoli che lavorano contro gravità e lavorano a bassa frequenza di stimoli tra i 20 e i 30 al secondo (20-30 Hertz); le unità fasiche lavorano a frequenze di stimolo superiori, dai 40 agli 80 Hz. Differentemente, nelle fibre fasiche, essendo il tempo biologico dell' accoppiamento actomiosinico molto basso, occorre che prima che la tensione si abbassi, entrino in funzione altre fibre; cioè occorre che la frequenza degli stimoli sia alta.

Organizzazione del sistema neuro-motorio
Sappiamo che la muscolatura scheletrica, detta anche striata ( dall’alternanza di bande chiare e scure che si evidenziano nei sarcomeri quando questi vengono osservati al microscopio) è sotto l' egida dei centri motori encefalici, che sono collegati attraverso il sistema piramidale ed extrapiramidale con fibre nervose deputate a trasmettere gli stimoli fino alle placche neuromotrici (punto di connessione tra il sistema nervoso e quello muscolare). Gli impulsi nervosi sono presenti anche durante il riposo, ma partono in forma asincrona, determinando il tono muscolare che viene generato e mantenuto per via riflessa dalle corna anteriori del midollo spinale.
Quando gli impulsi sono sincronizzati e modulati in intensità, siamo di fronte ad una contrazione volontaria che presiede ad un lavoro muscolare.
Se gli impulsi sono di bassa intensità saranno coinvolte le fibre rosse e si tratterà di contrazione tonica, se invece saranno di alta intensità saranno coinvolte le fibre bianche e si tratterà di contrazione fasica.
Il muscolo striato possiede due tipi diversi di recettori che ne assicurano la sensibilità riflessogena : i fusi euromuscolari (FNM) ed i corpuscoli muscolo-tendinei del Golgi (GTO).
I fusi neuromuscolari sono disposti in parallelo alle fibre muscolari, sono composti da alcune fibre muscolari (fibre intrafusali) rivestite da una guaina connettivale, ed i Corpuscoli Muscolo-Tendinei del Golgi (GTO, dal termine inglese: Golgi Tendon Organ) sono in serie al muscolo ; ambedue sono attivati dallo stiramento del muscolo e mediano il riflesso miotatico, cioè stimolano la contrazione del muscolo, quando questo viene stirato. La differenza tra loro sta nel fatto che i GTO hanno una soglia di attivazione più elevata rispetto ai FNM, e presiedono al riflesso miotatico inverso, che porta alla inibizione del muscolo stirato e alla contrazione del muscolo antagonista.
I GTO sono anche analizzatori della tensione muscolare e sensibili agli stiramenti dei tendini dovuti ad attivazioni eccessive. (Vedi fig. 3)

Attivazione muscolare
Usualmente, quando si descrive l' azione fondamentale del muscolo, si parla di contrazione.
Etimologicamente la parola “contrazione” sottintende "accorciamento", ma, dal momento che, come è stato citato precedentemente, il muscolo può essere anche stirato o allungato, sarebbe più giusto denominare la “contrazione” con il termine: attivazione.

Esistono tre tipi di attivazione: concentrica, eccentrica passiva ed eccentrica attiva.
Avremo l' attivazione concentrica, quando il muscolo si accorcia (velocemente o lentamente). L’attivazione concentrica può anche manifestarsi in forma statica, in questo caso l’attivazione prende il nome di attivazione isometrica. L’attivazione isometrica si realizza senza un evidente accorciamento del muscolo quindi a velocità di spostamento nulla, anche se secondo alcuni autori (J. Tihany ed altri) questo tipo di attivazione non è priva di una sua dinamica interna.
In questa situazione il muscolo sviluppa tensione, eventualmente fino ai massimi livelli (per esempio se volessimo spostare un muro o se volessimo sostenere un carico pari alla nostra forza volontaria!).
Avremo l' attivazione eccentrica, quando il muscolo si allunga; addirittura possiamo distinguere tra due diversi tipi di attivazione eccentrica: una passiva e l' altra attiva.
Parleremo di attivazione eccentrica passiva quando il muscolo viene allungato (stirato) senza formare ponti actomiosinici, quindi senza opporre resistenza (come
avviene quando ci si siede); e di attivazione eccentrica attiva quando il muscolo viene stirato formando i ponti actomiosinici, come nel caso del caricamento prima di un salto verticale.
Nel caso di attivazione eccentrica attiva con formazione dei ponti, il muscolo, si carica di energia elastica; il periodo in cui deve aversi l' accumulo di energia elastica però, deve durare al massimo 300 millisecondi, altrimenti i ponti si spezzano, vanificando la possibilità di riuso elastico da parte del muscolo, nella attivazione concentrica successiva allo stiramento.
Si pensava che, per poter riutilizzare l' energia elastica accumulata dal muscolo, il tempo che doveva intercorrere tra lo stiramento e l' accorciamento, dovesse essere brevissimo (dell' ordine di 100 millisec.); ma studi effettuati per comprendere appieno questo fenomeno, hanno dimostrato che il riuso di energia elastica avviene secondo il tipo di fibra impegnata ed il tipo di movimento eseguito (Bosco, 1982).
Se il ciclo striramento-accorciamento è rapido (150 millisec.) si attivano le fibre veloci, se invece il ciclo è lento (fino a 300 millisec.) si attivano le fibre lente.
Cioè, si è compreso che anche le fibre lente, nei dovuti tempi, possono usare e restituire energia elastica, cosa che, si pensava, fosse una caratteristica solamente delle fibre veloci.
Riassumendo, quindi, quando si parla di attivazione concentrica, dobbiamo tenere conto se l' attivazione è di tipo veloce o lenta; se invece l' attivazione è eccentrica bisogna distinguere se è veloce o lenta e se c'è il ciclo completo stiramento-accorciamento. In alcuni casi potrebbe esserci solo stiramento, come nel caso di un soggetto che si siede facendo solo lavoro eccentrico, in questo caso, i ponti che si formeranno saranno pochissimi perchè se se ne formassero tanti, aumenterebbe la tensione muscolare ed il soggetto resterebbe in piedi.
Se ne deduce che l' uomo è in grado di poter modulare la contrazione, attivandola secondo la tensione e la velocità che desidera .
Generalmente i movimenti che noi facciamo prevedono sempre uno stiramento ed un successivo repentino accorciamento, tranne in acqua, infatti l' elasticità muscolare è la risposta dell' adattamento dell' animale terrestre alla gravità.

La pliometria
Quando in alcuni casi si determina un’attivazione eccentrica “attiva” repentina, come nel caso del caricamento prima di un salto verticale; il muscolo si carica di energia elastica (attraverso il modulo elastico presente nei tendini e nei cross-bridges) che può essere restituita nella contrazione concentrica successiva a patto che questa avvenga in tempi altrettanto brevi.
Al ciclo stiramento-accorciamento completo, viene dato il nome di attivazione pliometrica.
Il periodo di accumulo di energia elastica da parte dei muscoli che vengono stirati può durare al massimo 300 millisecondi, altrimenti i cross-bridge si rompono; inoltre il ciclo stiramento-accorciamento deve essere rapido poiché solo entro i 150 millisecondi si attivano le fibre veloci, mentre se il ciclo è lento e comunque non superiore ai 300 millisecondi si attivano le fibre lente.
Uno dei casi più eclatanti di attivazione pliometrica è quello del salto verticale dopo caduta da una determinata altezza.
Per pliometria (dal greco pleos = più, metros = lunghezza) si intende quel tipo di attività fisica che determina un brusco allungamento del muscolo, causandone un’attivazione eccentrica ovvero un lavoro negativo.
Solitamente nella pratica sportiva per pliometria si intende un tipo di esercitazione muscolare in cui vi sia un repentino e brusco allungamento dei muscoli agonisti causato solitamente da un urto, con una successiva ed altrettanto repentina attivazione concentrica (Verkhoshansky, 1963).

Un brusco stiramento dei muscoli attivati, determina:
  1. un elevato stimolo afferente per la produzione di una salva di impulsi dalla zona motoria centrale alla periferia motoria
  2. un fattore determinante per l’accumulo di energia meccanica elastica (energia non metabolica) nei muscoli, che aumenta notevolmente l’effetto di lavoro della successiva contrazione muscolare (Hill, 1933).
Perciò questa forma di lavoro muscolare, rappresenta una riserva enorme per lo sviluppo della capacità di esprimere impegni di forza in tempi brevissimi, e questo metodo di allenamento è uno di quelli più usati dagli atleti di potenza (corse veloci, salti e lanci ) per incrementare le loro prestazioni sportive.
Però come ben sappiamo dalle nozioni di fisiologia muscolare, un allungamento del muscolo ed una aumentata tensione interna scatenano risposte riflessogene che in alcuni casi favoriscono l’incremento di forza ed in altri ne determinano uno scadimento.
E’ proprio su questi concetti che si è indagato in questa ricerca, cioè quanto e come il muscolo risponde in una condizione di attivazione eccentrica.
(Vedi fig 4)

Strumentazione
Solitamente per la valutazione delle capacità di forza degli arti inferiori, da quando esiste la branca della valutazione funzionale dello sportivo, si ricorre al salto verticale.
Questo tipo di test è semplice da eseguire anche se sono diversi gli accorgimenti da tener presente per un risultato che risponda alle necessità di un validità, attendibilità ed oggettività. Diversi studiosi ne hanno proposto una versione con i rispettivi elementi di standardizzazione. Nella nostra ricerca utilizzeremo una pedana a conduttanza collegata ad un timer.
La Pedana a Conduttanza fu introdotta dal prof. Carmelo Bosco (da cui il test omonimo) intorno al 1980 e consiste in un tappetino fornito di sensori elettromeccanici che hanno la funzione di interruttore, collegato ad un timer; quest’ultimo verrà azionato dal soggetto che salta. L’altezza del salto risulta dalla seguente formula: h = t² * 1,226
(Vedi fig 5 e 6)

L’esperienza pratica
Partendo dal concetto che l'espressione motoria della tensione muscolare è determinata dalla sommatoria di più fenomeni e cioè dalla composizione percentuale delle fibre muscolari, dalla capacità del sistema nervoso di attivarle, dallo stato di attivazione del muscolo prima del movimento, dall'intervento dei sistemi di riflesso e dalla disponibilità di risorse energetiche, si è cercato di capire come questi fattori influissero sul movimento ed in che percentuale, analizzando l’esecuzione di un semplice gesto motorio da sempre utilizzato per la valutazione dell’efficienza degli arti inferiori: il salto verticale (vertical jump). La ricerca svolta, si basava sull'esame della capacità di elevazione di alcuni studenti di ambo i sessi del Liceo Classico “Minghetti” di Bologna.
Il campione su cui è stato svolto lo studio era formato da 4 ragazze e 7 ragazzi di età compresa tra i 17 e i 19 anni.
Solo 4 ragazzi (2♂ e 2♀ ) praticavano Atletica leggera e Basket a livello sportivo scolastico, mentre gli altri seguivano regolarmente le ore di Educazione Fisica a scuola.
A tutti era stato insegnato il gesto tecnico del salto verticale, che era stato eseguito più volte nell’arco dell’anno scolastico.
I dati sono stati rilevati nel mese di marzo, quando gli allievi avevano appreso e sapevano eseguire correttamente il gesto motorio richiesto nel test.
L’esperienza pratica si articolava nell'esecuzione da parte del gruppo esaminato di diversi tipi di salto che venivano effettuati su una pedana a conduttanza collegata ad un cronometro di precisione (fig. 5 e 6) il cui compito era quello di misurare il tempo effettivo di salto.
Il tempo effettivo del salto va considerato dal momento in cui si staccano i piedi dalla pedana al momento del successivo atterraggio su di essa (i tempi fatti registrare sono in millesimi di secondo).
La strumentazione ha consentito di valutare, attraverso i risultati ottenuti, il diverso comportamento dei muscoli al variare della posizione di partenza del soggetto che salta, tenendo presente lo stato di attivazione muscolare immediatamente precedente l’azione motoria vera e propria costituita dal salto verticale.
Le varie tipologie di esecuzione tecnica avevano il compito di porre i muscoli agonisti, cioè quelli che determineranno il movimento, nelle condizioni di essere prestirati a livelli crescenti a partire dal semplice gesto del caricamento, per arrivare ai salti effettuati dopo caduta dall'alto.
Nella prima tipologia di esercizio, denominata squat jump, il soggetto doveva saltare verso l’alto, partendo da una posizione in cui le gambe sono piegate (circa 90°) e le mani poste sui fianchi: il risultato ottenuto corrispondeva ad un salto pari alla capacità individuale di esprimere forza con gli arti inferiori e quindi dalla capacità del sistema nervoso di reclutare ed attivare il maggior numero di fibre.( fig. 7a, 7b, 7c).

Il secondo tipo di salto, detto counter movement jump, consisteva nell'effettuare un salto verticale partendo da una posizione eretta con le mani sui fianchi e saltando dopo aver rapidamente pieganto le gambe circa a 90° (fig. 8a, 8b, 8c, 8d) così da coinvolgere l’elemento elastico della muscolatura ed il sistema riflessogeno..

Si è potuto constatare che rispetto all'esercizio precedente i tempi di volo fatti registrare, erano decisamente superiori solo se il caricamento (fase eccentrica prima del salto) avveniva rapidamente, mentre se questa fase era effettuata lentamente, i tempi di volo erano molto simili ai tempi di volo dello squat jump; da ciò si deduce che l’efficienza del salto è influenzato dalla rapidità con cui si compie il ciclo stiramento-accorciamento.
La tabella sottostante evidenzia i risultati dell’esperimento.

Tabella 1
  SJ CMJ veloce CMJ lento
D.F. F. ♂ 540 570 545
F. N. ♂ 546 565 548
M. D. ♂ 576 619 576
S. G. ♀ 492 500 490
S. F. ♂ 471 525 477
E. B. ♀ 543 573 548
C. C. ♂ 554 575 559
G. N. ♂ 570 622 573
L. M. ♀ 495 505 499
V. M. ♀ 471 525 480
O. C. ♂ 537 563 544

Risultati ottenuti dagli studenti nelle diverse tipologie di salto (i tempi di volo sono espressi in millesimi di secondo)

I risultati indicano che l’energia elastica deve essere accumulata ed utilizzata in un tempo molto breve: nello stiramento l’energia elastica si genera e si accumula e nella attivazione concentrica immediatamente successiva deve essere sfruttata rapidamente altrimenti i suoi benefici risultano nulli
Per quanto riguarda il sistema riflessogeno si può pensare che essendo lo stiramento relativamente poco incisivo e comunque non brusco (passaggio dalla posizione eretta a quella di semiaccosciata) sicuramente si deve tener conto di una piccola quota di rendimento meccanico dovuta al riflesso di stiramento e quindi al rilesso miotatico diretto.
L’ultima tipologia di salto che ho sperimentato, è detto drop jump, e prevede che il soggetto si lasci cadere in posizione eretta con le mani poggiate sui fianchi da una determinata altezza (ad esempio in piedi su un panchetto) sulla pedana, per poi eseguire un salto del tipo counter movement jump (fig. 9a, 9b, 9c, 9d).


Questa tecnica mira ad amplificare l’effetto del pre-stiramento muscolare al fine di aumentarne la capacità di produrre forza come spiegato precedentemente.
Ad ogni salto veniva alzata la zona di caduta (in questo caso costituita da materassini semirigidi dello spessore di 5 cm) con una progressione di un materassino per volta (fig. 10a, 10b, 10c, 10d).

I dati raccolti sono stati elaborati statisticamente e riportati sul grafico n°1 presentato di seguito, e a cui si è cercato di dare una interpretazione plausibile nelle conclusioni.


Tabella 2
SJ CMJ DJ
Altezza di caduta (cm) 0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55
D.F. F. ♂ 540 570 585 597 615 599 584 570 542 500 ___ ___ ___
F. N. ♂ 546 565 583 611 617 614 614 622 607 605 601 591 585
M. D. ♂ 576 619 671 704 730 737 741 696 685 687 683 675 671
S. G. ♀ 492 500 525 552 556 566 551 548 542 534 518 508 504
S. F. ♂ 471 525 530 516 539 556 526 515 432 ___ ___ ___ ___
E. B. ♀ 543 573 585 600 610 595 584 573 534 ___ ___ ___ ___
C. C. ♂ 554 575 613 617 618 619 619 622 606 603 599 590 585
G. N. ♂ 570 622 649 699 721 730 735 692 680 679 673 660 651
L. M. ♀ 495 505 523 555 556 568 550 548 540 531 520 511 505
V. M. ♀ 471 525 527 527 535 561 521 502 423 ___ ___ ___ ___
O. C. ♂ 537 563 570 598 605 592 578 571 531 ___ ___ ___ ___
MEDIA T di volo (msec) 526 558 573 598 609 614 608 590 556 ___ ___ ___ ___
MEDIA H del salto (cm) 33,8 37,9 40,3 43,7 45,8 46,2 45,3 42,6 37,9 ___ ___ ___ ___

TABELLA DEI RISULTATI
Nella tabella soprastante sono riportati i dati relativi ai salti realizzati da alcuni studenti del Liceo “Minghetti” di Bologna; in ogni casella della matrice i dati si riferiscono al tempo di volo del salto(in millesimi di secondo); nella parte con i numeri in rosso alla rispettiva altezza media raggiunta.
Come si evince dalla tabella n°2 e dal grafico sottostante, sono stati presi in considerazione solo la media dei risultati ottenuti da tutti gli studenti.

(Vedi Grafico n° 1)

CONCLUSIONI
Dall'analisi dei risultati ottenuti nell'esecuzione delle varie tecniche di salto è emerso che il maggior rendimento meccanico del muscolo dipende dal caricamento prima del salto e dal tipo di riflesso miotatico che il caricamento stimola.
Nella prima tipologia di salto (squat jump), essendo la condizione di partenza statica, la velocità di caricamento e l’elasticità accumulata sono pari a zero, infatti si parte “da fermo” con angolo al ginocchio di 90°; questa posizione, poiché tenuta per qualche secondo, annulla l’effetto della fase eccentrica, cioè il movimento che, dalla stazione eretta permette di raggiungere la posizione di partenza per il salto (che normalmente consente l’accumulo di elasticità nei muscoli e attiva lo stimolo riflesso da allungamento).
Si deduce che la forza utile per effettuare il salto deriva solo dalla capacità individuale di stimolare i muscoli agonisti, ossia di reclutare il maggior numero di fibre che devono reagire repentinamente per fornire la forza necessaria a vincere la forza di gravità che ci tiene appoggiati a terra.
Secondo quanto descritto nel paragrafo relativo alle fibre muscolari, si può ipotizzare che in questo caso le fibre che permetteranno di saltare sono prevalentemente quelle bianche (Fast Twich), che sembrano avere le caratteristiche necessarie per risolvere il problema motorio del salto verticale.
Si può inoltre dedurre che, essendo il salto un’azione di forza esplosiva, cioè immediata, l’altezza ottenuta è direttamente proporzionale al numero delle fibre bianche coinvolte nell'azione motoria, infatti più fibre veloci saranno reclutate, più forza sarà sviluppata istantaneamente dai muscoli, più alto sarà il salto relativo.
Facendo riferimento a questo primo risultato ottenuto, possiamo rilevare la diversa risposta dei muscoli degli arti inferiori quando si eseguono esercizi di salto da altre posizioni di partenza: queste saranno tali da evidenziare i fenomeni biomeccanici annullati dalla posizione di partenza del primo genere di tecnica di salto.
Il secondo tipo di salto, il counter movement jump, che consente di utilizzare un caricamento dinamico prima di saltare, caricamento che in termini pratici si realizza partendo dalla posizione eretta raggiungendo la posizione di ginocchia a 90° molto rapidamente; quest’ultimo attiva il riflesso miotatico e carica il muscolo di energia elastica.
Pertanto è presumibile che i meccanismi attivati nella fase di caricamento, influenzeranno i risultati, come del resto è confermato dai dati ottenuti, che si rivelano per tutti i soggetti esaminati, mediamente superiori rispetto a quando il salto viene effettuato secondo la metodica dello squat jump.
Da ciò si deduce che essendo le due tipologie di salto, effettuate dagli allievi col massimo dell’impegno, solo nella seconda tipologia il valore della forza (altezza del salto) viene potenziato per effetto dei fenomeni biomeccanici attivati durante il caricamento, infatti lo stiramento muscolare e l’accumulo di energia elastica rimangono attivi grazie alla velocità con cui il ciclo caricamento-salto viene eseguito, ciò è confermato dall'esperimento in cui è stato proposto il salto preceduto dal caricamento effettuato lentamente o con uno stop relativamente breve prima dell’azione.
Dalla teoria della contrazione muscolare possiamo ipotizzare che nello squat jump i ponti acto-miosinici risultino privati della loro caratteristica elastica per effetto dei tempi operativi molto lunghi, con conseguente limitazione del risultato del salto; invece, nel counter movement jump, essendo i tempi operativi molto brevi, si dà la possibilità ai cross-bridges di rimanere attivi e quindi il muscolo è in grado di poter sfruttare appieno le proprie potenzialità elastiche.
Si capisce quindi che l’effetto del pre-stiramento dei muscoli agonisti opera in maniera positiva sulla forza prodotta dal muscolo stesso, sia per i fattori elastici sia per fattori riflessogeni..
Ma fino a che punto possiamo pensare che questi effetti siano efficaci?
A questo proposito si è passati ad incrementare l’intensità del pre-stiramento sfruttando ulteriormente la forza di gravità, cioè effettuando salti preceduti da caduta dall'alto.
Questa tecnica, chiamata drop jump, sfrutta questa caratteristica: infatti la caduta da una minima altezza fa aumentare il risultato del salto e quindi ne consegue che la forza risulta aumentata.
Questo fenomeno però non è riscontrabile in tutti i soggetti cui è stato proposto l’esercizio. Un ruolo negativo è giocato sicuramente dal timore di lasciarsi cadere prima di saltare. Mediamente, comunque, il salto, come si evince dai dati, è maggiore rispetto a quello con la tecnica del C.M.J.
Si osserva infatti che il rendimento del salto con la tecnica del drop jump cresce proporzionalmente all’aumentare dell’altezza di caduta.
Dai dati raccolti emerge che ad una data altezza il rendimento del salto subisce un’inversione di tendenza, cioè cominciano ad ottenersi valori più bassi rispetto a quelli fatti registrare ad altezze di caduta precedenti..
La causa di questo minor rendimento, è probabilmente da ricercare nell'eccessiva tensione che si sviluppa nel muscolo per frenare l’inerzia del corpo in caduta, al punto da sollecitare l’entrata in funzione dei riflessi tendinei (apparato tendineo del Golgi) che hanno una soglia di attivazione molto alta (comunque più alta rispetto a quella dei fusi neuro-muscolari), che operano in maniera tale da agevolare un rilasciamento del muscolo per assecondarne l’allungamento; ciò non consente al muscolo di esprimere tutta la sua forza.
Infatti anche nei dati raccolti, si evince che mediamente quando l’altezza di caduta supera i 20-30 cm, i salti relativi cominciano ad essere più bassi.
Inoltre dall'esperienza effettuata si può concludere che ogni individuo è capace di esprimere forza in relazione alla sua dotazione genetica, che determina la composizione del muscolo in quantità e qualità delle fibre.
Attraverso i salti verticali si può notare che esiste una differenza di forza tra individui dello stesso sesso e di sesso opposto; infatti alcuni maschi riescono a fornire risultati migliori rispetto ad altri dello stesso sesso, e comunque mediamente superiori a quelli ottenuti dalle femmine.
Il salto verticale, quindi, consente di ipotizzare anche che:
  • Il sesso è determinante nella capacità di forza, i maschi sono mediamente più forti delle femmine
  • esista una maggiore o minore percentuale di fibre bianche nella composizione globale del muscolo tra diversi individui;
  • le fibre bianche consentano un maggiore accumulo di energia elastica;
  • i muscoli possano caricarsi di energia elastica sfruttando la forza di gravità attraverso la fase di caricamento, che consente, a parità di energia impiegata, di esprimere maggior forza;
  • il caricamento, o prestiramento, deve essere sufficientemente energico e rapido da poter attivare il riflesso miotatico diretto e stimolare i fusi neuro muscolari;
  • quando il caricamento produce un marcato allungamento del muscolo e/o una elevata tensione interna, la forza decade per effetto del riflesso miotatico inverso.


Autore:
Prof. Salvatore Buzzelli

Fonte/Bibliografia:
R. Margaria : Fisiologia muscolare - Società Stampa Sportiva – 1973
C. Bosco : Elasticità muscolare e forza esplosiva - Società Stampa Sportiva -1985
C. Bosco : Valutazione della forza con il test di Bosco - Società Stampa Sportiva -1992
Y. Verkoshansky : Tutto sul metodo d’urto – Società Stampa Sportiva - 1997
S. Buzzelli : Laboratorio di fisiologia applicata all'esercizio fisico. – Dispensa in uso presso il Liceo “Minghetti” di Bologna – 2000
A.A. vari : Fisiologia dell’uomo – Edi Ermes -2000
W. McArdle–E. Katch–V. Katch : Fisiologia applicata allo sport– C.E.Ambrosiana -2000
Link Utili - Fonte/i
Sito Ufficiale di Salvatore Buzzelli
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